Diego de Henriquez: un testimone scomodo. L'intervista al Colonnello Vincenzo Cerceo • Barbara Mapelli
I Diari di Diego de Henriquez: l’intervista al colonnello Vincenzo Cerceo
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Diego de Henriquez: un testimone scomodo





 

I moti di Trieste del 1953

Diego de Henriquez nei suoi diari racconta dei tragici eventi scoppiati nell’autunno del 1953 in piazza Sant’Antonioa Trieste e vissuti in prima persona, in cui persero la vita cinque persone. Come afferma il Colonnello Vincenzo, ci sono circa un’ottantina di pagine in cui Henriquez racconta, con l’obiettività che gli è propria, l’episodio. Alcuni contenuti descritti nei diari si discostano molto da quella versione ufficiale così spesso ripetuta nelle occasioni ufficiali, della cosi detta: "rivolta di Trieste". Nei diari di De Henriquez viene evidenziato il fatto che gli incidenti scoppiati davanti alla chiesa di Sant’Antonio Nuovo, sfociarono a causa della decisione del Vescovo Santin, di riconsacrare la chiesa stessa dopo che era stata ritenuta “profanata” alcuni giorni prima da alcuni manifestanti catturati dalla polizia. Santin aveva così deciso di riconsacrarla in forma solenne e ufficiale, trasformandola così in una vera manifestazione politica. Come sottolineò lo stesso de Henriquez, questo fatto accese gli animi di molte persone.

Nei giorni precedenti alla riconsacrazione, il sindaco Gianni Bartoli aveva fatto disselciare la pavimentazione della piazza, rendendo disponibili ai manifestanti dei cubetti di porfido ammucchiati, pronti per essere lanciati contro la Polizia Civile.
Sul posto vennero lasciati anche alcuni picconi, “cosa un po’ strana” afferma Cerceo, “gli operai quando se ne vanno, portano via gli attrezzi di lavoro perché c’è il rischio di non trovarli più. Se erano lì, significava che qualcuno li aveva lasciati di proposito. Infatti, durante la manifestazione, furono usati. Fu proprio l’impiego dei picconi da parte dei dimostranti che provocò la reazione della Polizia civile, la quale sparò”.

Henriquez fu presente ai fatti assieme ad un ex ufficiale di polizia tedesco, il maggiore Matz, il quale si stupì dell’incredibile autocontrollo della Polizia civile nei confronti dei violenti e brutali manifestanti, degli estremisti di destra, in gran parte provenienti dal Veneto e dal Friuli, che erano comandati da un ex fascista della Milizia di nome De Tullio. Lo stesso Henriquez si rivolse a De Tullio pregandolo di moderare la situazione. Egli lo mandò via in malo modo dicendogli di togliersi di mezzo altrimenti sarebbe stato peggio per lui. “Infatti era De Tullio che gestiva la situazione e dava ordini”.
La Polizia civile aveva anche ricevuto l’ordine di togliere i caricatori dai fucili MAB e di tenerli in tasca per evitare che qualcuno perdesse i nervi e sparasse, ma dopo la sassaiola, i manifestanti presero i picconi e si lanciarono contro i poliziotti. A quel punto la polizia ricorse alle armi. Quando tutto ebbe fine, i fascisti venuti da fuori si rifugiarono nelle case di tolleranza della Città vecchia. Vennero poi catturati, trasferiti fuori dal Territorio Libero di Trieste, con il consenso del GMA, e scaricati con l’auto diplomatica di Diego de Castro (rappresentante diplomatico dell’Italia presso il Governo Militare Alleato a Trieste e consigliere politico del Comandante di Zona generale Winterton) e lasciati a Monfalcone.

“Per quanto riguarda dei fatti di piazza Unità”, afferma Cerceo, “Henriquez non era presente e riporta nei suoi diari la versione del nazionalismo triestino. La polizia in quell’occasione sparò di proposito, però in quella circostanza i colpi partirono dopo che ci fu un lancio di alcune bombe a mano verso il palazzo della prefettura”.


 

La Polizia civile aveva anche ricevuto l’ordine di togliere i caricatori dai fucili MAB e di tenerli in tasca per evitare che qualcuno perdesse i nervi e sparasse, ma dopo la sassaiola, i manifestanti presero i picconi e si lanciarono contro i poliziotti. A quel punto la polizia ricorse alle armi.


 

Il passaggio dall’amministrazione civile provvisoria del 1954
Nell’opinione pubblica triestina esistevano delle forti perplessità sul passaggio dell’amministrazione civile provvisoria al governo italiano. Erano motivi prettamente economici, “perché a Trieste si stava molto bene sotto l’amministrazione alleata”, afferma Cerceo. “C’era una ricchezza superiore rispetto ad altre città italiane e l’indotto, creato dall’economia del governo alleato, era molto generoso.
I triestini stavano avevano la certezza di non correre alcun rischio”. Invece, il passaggio dall’amministrazione alleata a quella del governo italiano, “sarebbe stato rischioso” prosegue Cerceo. “A Trieste c’era un sentimento favorevole all’Italia, ma c’era anche una componente slovena che avrebbe preferito l’adesione alla Repubblica Jugoslavia e infine una parte indipendentista che voleva mantenere il Territorio Libero di Trieste”.


Nei diari, Henriquez riporta pagine e pagine di commenti dei triestini e delle loro perplessità sul passaggio dell’amministrazione civile provvisoria del Territorio Libero di Trieste al governo italiano. “Infatti si è puntualmente realizzata la crisi economica che ha coinvolto la città”, afferma Cerceo, “ampiamente prevista”.

 

“La maggioranza filoitaliana […] poteva anche contare sul totale appoggio del governo di Roma. Il quale oltre a fornire mezzi finanziari pressoché illimitati, aveva anche impegnato i propri servizi segreti nella creazione di strutture semilegali o del tutto illegali, composte da ex fascisti e da elementi provenienti da altre località d’Italia. […] avevano la violenza pura e semplice, non aliena anche dall’omicidio di avversari politici”.

(Vincenzo Cerceo, Claudia Cernigoi, Luca Lorusso, Maria Tolone, Diego de Henriquez, il testimone scomodo)

 

Diego de Henriquez mette “in evidenza il forte sentimento autonomistico ed indipendentistico in una massa trasversale dell’opinione pubblica cittadina”.
Racconta anche altri episodi, come ad esempio, quando veniva dato l’ordine di esporre il tricolore sui davanzali, gruppi di emigrati meridionali giravano per la città, suonavano alle porte delle case di chi non aveva esposto la bandiera e minacciavano gli abitanti per aver disobbedito o lanciavano pietre contro le finestre, in altri casi queste azioni finivano anche tragicamente; parla anche dei depositi occulti di armi predisposti in funzione antijugoslava o del maggiore nazista austriaco e agente dei servizi segreti delle Ss Otto Skorzeny, noto per aver liberato Mussolini dal Gran Sasso e arruolato poi nella Cia nel nuovo conflitto contro Mosca, che si recava spesso a Trieste sotto falso nome senza che le autorità alleate intervenissero. Henriquez sospettò che Skorzeny svolgesse un ruolo anticomunista per conto della NATO.

Skorzeny ha avuto parte attiva nell'organizzare la fuga di ex soldati delle SS dalla Germania nell'ambito della cosiddetta organizzazione Die Spinne, il Ragno, un’organizzazione di reduci dell’ex SS che davano assistenza agli esponenti nazisti nella loro fuga dalla Germania nell’immediato dopoguerra. Operazioni ben congegnate che trovavano la connivenza delle autorità militari amaricane. Skorzeny, oltre a lavorare per la Cia, nel 1962 venne ingaggiato dal Mossad per uccidere altri nazisti, collaborazione che durerà fino al 1965.

I diari di Henriquez mettono in luce la figura dell’ex podestà Cesare Pagnini, un avvocato molto stimato che aveva avuto incarichi politici durante il fascismo, amico del governo tedesco e dei nazisti e dirigente della società per l’amicizia Italo-Germanica di Trieste al tempo delle leggi razziali italiane del 1938.
“All’arrivo dei nazisti a Trieste, fu necessario nominare un podestà, e i tedeschi scelsero lui”, prosegue Cerceo. “Pagnini gestì l’amministrazione comunale senza nominare degli assessori. Henriquez riporta delle testimonianze molto controverse su di lui”.

Come riportato nei suoi diari, aveva avuto diversi colloqui con Pagnini nel dopoguerra, dai quali emergono la sua ostilità verso gli ebrei e un’avversione verso gli sloveni di Trieste e d’oltreconfine. (Vincenzo Cerceo, Claudia Cernigoi, Luca Lorusso, Maria Tolone, Diego de Henriquez, il testimone scomodo).

“Successivamente il tribunale assolse Pagnini dall’accusa di collaborazionismo, cosa che non fece l’ordine degli avvocati che lo sospese dalla professione. Nell’Archivio Storico del Comune di Trieste abbiamo trovato una sua lettera, riservata personale al prefetto fascista collaborazionista di Trieste Bruno Coceani, in cui dice testualmente di non considerare Trieste una città occupata, ma una città che collabora lealmente con l’alleato tedesco contro il nemico comune anglosassone. Il fatto che Pagnini abbia scritto questa lettera mi sembra significativo il suo orientamento ideologico. A Trieste chi effettivamente comandava era il Commissario Governativo tedesco, affiancato dall’amministrazione comunale. Il Commissario Governativo si diede molto da fare per impedire che venga distrutto il porto. Questo fatto è in pieno contrasto con la storiografia ufficiale”.

Alcune affermazioni vengono riportate da Henriquez nel diario n. 30, e di come nel gennaio del 1945, “il comandante tedesco della Marina, Loyke, aveva scritto a Dönitz chiedendo di poter soprassedere alla distruzione del porto in quanto atto non essenziale ai fini bellici e poteva servire per l’economia austriaca. De Henriquez riporta nel suo diario la lettera che fu inviata all’ammiraglio Dönitz. Dopo pochi giorni arrivò la risposta di Dönitz: “Nicht zu vernichten”, cioè 'non distruggere niente'. Stando a quanto scritto in queste pagine dal “professore”, dunque, non è assolutamente notizia confermata (e non andrebbe quindi accolta acriticamente come invece fanno i giornali) che sia stata la “insurrezione” del CLN ad evitare la distruzione del porto e delle infrastrutture civili”.

Durante l’incendio avvenuto nella casa di Henriquez, una parte dello smisurato archivio bruciò assieme allo studioso. “Alcuni diari sono bruciacchiati” afferma Cerceo, “oltre ai 20 diari che mancano. I diari di Henriquez sono in totale 313, tutti numerati. Mancano soprattuto gli ultimi diari e non si sa se siano stati bruciati o sottratti. Questo incendio è molto strano. De Henriquez nell’ultima fase della sua vita aveva cambiato molto il proprio comportamenti. Ad esempio dormiva in una bara, era molto orientato verso lo spiritismo e l’esoterismo, mangiava in un modo strano. Una persona che lo ha incontrato mi raccontò che un giorno lo portò a bere, gli portarono del caffè accompagnato da un vasetto con dentro delle olive. Henriquez tolse le olive e bevve l’olio del vasetto. Aveva poi preso a bere vino nell’ultima fase della vita, non che fosse alcolizzato, ma nel periodo precedente era sempre stato completamente astemio. Ci sono molte perplessità sulla sua morte. Il suo caso è stato archiviato troppo frettolosamente”.

L’autopsia fu effettuata appena sette mesi dopo. “Pare che avesse avuto degli scontri con dei teppisti con cui aveva delle frequentazioni occasionali nei locali pubblici. Ci sono state quattro inchieste giudiziarie sulla morte di Henriquez. Alla fine il processo fu archiviato come ‘omicidio a carico di ignoti’. Forse è stato ucciso perché Henriquez era in possesso di un elenco di nomi di collaborazionisti triestini che erano ancora in vita e vivevano in città e che forse ricoprivano qualche incarico importante. Lui aveva iniziato a parlarne a un giornale triestino dell’epoca:’Il Meridiano’. Fare quei nomi poteva essere molto pericoloso. Questa potrebbe essere una delle ipotesi sulla morte di Henriquez. Il fatto che manchino tanti diari, soprattutto nella parte finale è qualcosa che può insospettire. In ogni caso, gli elenchi dei collaborazionisti non sono stati trovati”.

“Penso che non si voglia prendere in esame i diari di Diego de Henriquez perché gli argomenti presi in esame sono in conflitto con la storiografia ufficiale recente delle storia di Trieste. Bisognerebbe mettere in discussione tante cose soprattutto i fatti del 1953, sull’insurrezione o i fatti precedenti o sul ruolo che hanno svolto le autorità come Pagnini, che sono state poi riabilitate. Adesso c’è un quadro di Pagnini nel comune di Trieste, fatto mettere da Menia. Forse sarebbe scomodo sollevare queste questioni e qui a Trieste la popolazione è ancora molto sensibile a tutte queste cose. Sono fatti troppo traumatici e la sensibilità delle persone è molto superiore di quella che potrebbe essere in altre città d’Italia. Ma dopo più di settant’anni, penso che sia il momento di prendere atto della realtà e iniziare una ricerca storica autentica e non ideologica, bisognerebbe sfondare tutto quello che c’è di propagandistico e cercare di raccontare i fatti come si sono realmente verificati. Per questo abbiamo iniziato a scrivere dei diari di Diego de Henriquez”.

© Barbara Mapelli

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