Il rifugio antiaereo “Kleine Berlin” • Barbara Mapelli
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Il rifugio antiaereo Kleine Berlin


 

Si tratta di un esteso complesso di gallerie antiaeree sotterranee, di uso militare e civile, risalenti alla seconda guerra mondiale e costruiti in due momenti distinti: uno è il ricovero italiano, costruito a partire dal 1940 dal Comune di Trieste e si tratta di una lunga galleria che serviva da rifugio per la popolazione, fiancheggiato da altre riservate al personale delle Poste e delle Ferrovie; l’altro è il rifugio di carattere militare, costruito dalle ditte italiane della TODT - su specifiche tedesche - dal novembre del 1943 durante l’occupazione tedesca e che era riservato esclusivamente al personale tedesco.




 

L’ingresso alla Kleine Berlin è situato in via Fabio Severo. Dopo un primo tratto di galleria si arriva nel tunnel principale dalla quale partono undici diramazioni.

In queste gallerie si può vedere la ricostruzione di un tipico ricovero casalingo, segnalato all’esterno con la sigla U.S. (uscita di sicurezza che i triestini scaramanticamente lo ribattezzarono “Ultima speranza”) accompagnato da una freccia che mostrava il punto esatto del rifugio ai soccorritori; la lettera I, che segnalava ai vigili del fuoco, il luogo dove erano posizionati gli idranti; e la lettera P, presa o pozzo, il segnale che indicava la presenza di una cisterna d’acqua. Il Comune di Trieste aveva fatto costruire sotto la città, delle grandi cisterne d’acqua da usare in casi di emergenza. La maggior parte sono chiuse o abbandonate.

Interessante è la mostra fotografica e gli oggetti in uso all’epoca come il flit, un tubo di lamiera con uno stantuffo, alla cui estremità c’è un recipiente cilindrico che conteneva il liquido insetticida Ddt, ma anche il famoso “brustolin” per tostare i preziosi chicchi di caffè.

Ci incamminiamo e raggiungiamo la galleria così detta Globočnick perché era il luogo da dove il generale scendeva, tramite una scala a chiocciola di legno, da Villa Ara per recarsi nel ricovero sotterraneo e in Tribunale.

Al termine della lunga galleria tedesca accediamo, tramite una porta, al rifugio comunale lungo 250 metri. La galleria era riservata alla popolazione triestina durante i bombardamenti sulla città. Durante la guerra qui si rifugiarono all’incirca 1300 persone. Dopo settant'anni di abbandono la natura ha preso il sopravvento: un ambiente riccamente invaso da stalattiti, molto particolari perché vuote all’interno, stalagmiti e vaschette d’acqua nelle quali si formano dei corpi di forma sub-sferica o ellittica chiamati pisoliti o perle di grotta, delle concrezioni di calcare di dimensione variabile.

Arriviamo nella parte finale della Kleine Berlin dove si può vedere un foro lungo quaranta metri non cementato. Sembra di trovarsi in una grotta naturale carsica e alle pareti si notano gli strati delle rocce che compongono il sottosuolo della città.


 

Negli appunti di Vincenzo Cerceo, ufficiale in congedo della Guardia di Finanza, tratti dalla lettura dei diari di Diego de Henriquez, uno dei personaggi più interessanti della Trieste del dopoguerra, scrive quanto segue:

“Su Globočnick de Henriquez ne fornisce nei propri diari numerose notizie, menzionandolo spesso anche se in maniera non sistematica. Ricevette le prime informazioni derivanti su di lui dall’amico maggiore Matz, della polizia criminale tedesca, che negli anni ’20 era stato funzionario della polizia austriaca a Graz, dove aveva avuto a che fare anche col giovane Globočnick, che stava seguendo in quella città un corso professionale per ottenere la qualifica di capomastro muratore. Matz lo descriveva come un giovane inaffidabile e sbandato, un poco di buono del quale la polizia era costretta ad occuparsi spesso […] era stata grande la sua sorpresa nel ritrovarselo anni dopo a Trieste come generale delle potentissime e temute SS, e comandante della polizia stessa, oltre che delle polizie collaborazioniste."

"[…] si comportava da capo temuto praticamente irraggiungibile, che teneva i propri movimenti al punto da aver fatto scavare un tunnel sotterraneo di collegamento tra la sua residenza, che aveva posto a Villa Ara, ed i suoi uffici nel palazzo del Tribunale, per poterli raggiungere senza uscire allo scoperto. Compariva così solo nelle cerimonie ufficiali, e trattava soltanto con i livelli più alti delle autorità naziste. "

E sul suo presunto suicidio, Vincenzo Cerceo afferma che de Henriquez aveva chiesto l’opinione dell’amico Matz e che questi gli rispose ironico:

“voi non sapete che razza di farabutto sia Globočnick, se ha messo in giro questa voce vuol dire che ha in testa un progetto preciso”.

Prosegue Cerceo sempre riportando gli appunti tratti dai diari di de Henriquez: “Globočnick stava infatti iniziando manovre di depistaggio perché si trovava trovava incluso nell’elenco di alti ufficiali delle SS che il generale Wolff, comandante supremo delle SS in Italia ed incaricato da Himmler di trattare segretamente in Svizzera la resa con i servizi alleati, aveva consegnato loro sotto promessa, poi mantenuta, di impunità. Era infatti ben vivo, e il 28 aprile partì con le sue SS verso Tolmezzo portando con sé i documenti più delicati e scottanti. Il 4 maggio si trovava ancora in Italia, a Paluzza, dove bruciò alcune carte e si rimise in viaggio verso l’Austria dove si consegnò agli inglesi. “Dopo alcuni giorni gli inglesi dettero la notizia del suo suicidio, mostrando un uomo simile a lui, steso a terra ma senza che ne fosse ben visibile il volto. I testimoni della sua asserita morte erano tutti uomini dell’intelligence ma la moglie, che non ebbe mai più notizie di lui, espresse delle perplessità”.


©Barbara Mapelli - Riproduzione riservata

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