Una parte dell’arsenale chimico italiano era stato ridislocato con l’apertura del fronte a est. Trieste giocò un ruolo importante, sia per la sua posizione strategica (città confinante con la Jugoslavia), sia per la presenza di un vasto porto con impianti petrolchimici (raffineria Aquila), luoghi perfetti dove trasportare, immagazzinare e occultare le armi chimiche.
Nell’estate del 2012, l’associazione ambientalista Greenaction Transnational lanciò l’allarme per la presenza, nell’area della ex discarica di Trebiciano, di fusti di cemento di grandi dimensioni, parzialmente interrati e vuoti. Nove mesi dopo quella segnalazione, i fusti sparirono misteriosamente. Come sottolineato sul sito della stessa associazione, quei fusti di cemento “erano molto probabilmente serviti quali contenitori per le scorie tossiche dell’arsenale militare italiano”.
Quei fusti di cemento “erano molto probabilmente serviti quali contenitori per le scorie tossiche dell’arsenale militare italiano”.
Il metodo di smaltimento di rifiuti “speciali” era molto semplice. Autobotti piene delle così dette “sludges” (mix di fanghi industriali e idrocarburi) venivano scortati dalle forze dell’ordine fino alla dolina o grotta prescelta. Posizionavano i manicotti di scarico nella fessura e riversavano litri di veleni nella cavità. Altre volte invece, erano i mezzi pesanti dell’Esercito a scaricare materiali “scomodi”. Camion accuratamente sigillati, giungevano nell’altopiano carsico con lo scopo di seppellire, nelle doline, fusti metallici o di ferro-cemento. Il tutto veniva poi ricoperto di terra e rifiuti.
Delle analisi fatte agli inizi degli anni ’90 nell’aera della discarica di Trebiciano, misero in evidenza la presenza di idrocarburi e metalli pesanti come: cadmio, mercurio, nichel, piombo, rame e zinco, oltre a ceneri a varie profondità nel terreno. In altri punti della discarica il terreno presenta colorazioni innaturali che vanno dal verde marcio al blu metallico. Sono state anche individuate presenze di biogas, come denunciato in passato da alcuni abitanti di Trebiciano.
Dati che dovrebbero preoccupare perché a soli 500 metri dalla discarica si trova l’Abisso di Trebiciano, grotta dove a trecento metri di profondità scorre il fiume Timavo che si alimenta dalle acque piovane del Carso. Per anni era stato utilizzato come fonte primaria per rifornire d’acqua il territorio triestino.
Il crescente inquinamento del fiume Timavo, alla fine degli anni ’70, costringe la società Acegas a ricercare fonti alternative per il rifornimento idrico di Trieste.
Con tutto questo disastro ambientale, per quanto tempo ancora gli abitanti della zona dovranno continuare a convivere con questa “bomba chimica”?
Per quale motivo la Commissione Parlamentare di inchiesta italiana sulle ecomafie non è mai intervenuta seriamente di fronte a questo scandalo nemmeno quando le evidenze erano ormai incontrovertibili?
Aspettiamo una risposta dallo Stato italiano.
©Barbara Mapelli - Riproduzione riservata
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Abisso di Trebiciano
Discarica di Trebiciano