Un'altra vita all’improvviso - Come farsi catapultare impreparati nel mondo di Jane Austen - Capitolo 6 • Barbara Mapelli
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Un’altra vita all’improvviso – Come farsi catapultare impreparati nel mondo di Jane Austen – Capitolo 6

Un’altra vita all’improvviso – Come farsi catapultare impreparati nel mondo di Jane Austen – Capitolo 5
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Romanzo a puntate scritto da Barbara Mapelli

Versione alternativa a "Orgoglio e Pregiudizio"


 

Capitolo 6

 

I

l giorno seguente Jane e Sara si ritrovarono a commentare assieme la serata precedente. Parlarono dell’amore e del suo recondito significato. Sara era convinta che l’amore fosse uno strano meccanismo psicologico, una forza divina straripante capace di sprigionare un’energia potente e di sconvolgere le menti delle persone; una forza invisibile che governa tutte le altre, comprese le leggi dell’universo e del creato. Lei proseguì con la sua spiegazione affermando che come i nostri corpi hanno bisogno di cibo per sopravvivere, così la nostra stessa anima necessita d’amore per vivere. L’amore è tutto, è un potere privo di uno scopo puramente razionale che illumina coloro che desiderano riceverlo e contiene in sé una gioia infinita. L’amore è l’essenza stessa di Dio. La rappresentazione del vero amore, secondo Jane, era molto meno filosofica e più concreta: la personificazione dell’amore era senza ombra di dubbio Mr Bingley. Come era accaduto? Non si sa, era capitato e basta. Quando hai a che fare con l’amore è lui che comanda.
   Gli occhi di Jane si illuminarono non appena pronunciò il suo nome. «È esattamente come dovrebbe essere un uomo», disse lei, «simpatico, intelligente, vivace dai modi gentili ed educati».
   «E anche molto bello», intervenne Sara. «In poche parole è l’uomo perfetto per te. Per tutta la sera non ti ha staccato gli occhi di dosso e ha ballato con te più di chiunque altra ragazza lì presente. È evidente che gli piaci».
   «Di certo non ho cercato il suo apprezzamento e non mi sarei mai aspettata un tale onore. Forse mi sto illudendo troppo nel pensare che il suo interesse per me possa significare un amore nei miei confronti. Dopotutto, anche con le altre dame è stato molto gentile e socievole».
   «Mia cara Jane, non hai niente di cui essere grata. Sei una bella ragazza e anche molto dolce e gentile. Lui ha apprezzato fin da subito le tue qualità. Quando si parla di sentimenti non si deve cercare una qualsiasi spiegazione razionale perché non c’è. Ci si innamora e basta. Non ci puoi fare nulla».
   «Desidero solo essere amata e rispettata per quella che sono, non desidero altro da un matrimonio».
   «Credo sia impossibile non amarti e non mi meraviglierei se Mr Bingley ti invitasse a uscire in qualche altra occasione».
   «Devo dire che Mr Bingley mi piace molto, niente a che vedere con il suo amico Darcy. Come ha potuto dire una cosa del genere riferendosi a voi? Essere giudicata appena passabile».
   «Se pensi che mi sia offesa, ti sbagli. Di certo non ho bisogno dell’approvazione di un pomposo aristocratico inglese».
   «L’affermazione di Mr Darcy non è biasimevole. Come vorrei che trovaste qualcuno da amare».
   Sara guardò Jane e pensò al suo ragazzo Tomas. «In realtà una persona amata ce l’ho, anzi a dire il vero, ce l’avevo. Si chiama Tomas».
   «Ecco perché siete così restia verso gli altri uomini c’è già qualcuno nel vostro cuore. Cosa è accaduto se posso chiedervelo?»
   «Diciamo che ci siamo presi una pausa di riflessione», il sorriso di Sara svanì del tutto. «In questo tempo forse riusciremo a capire se siamo fatti l’uno per l’altra oppure saremo destinati per sempre ad andare ognuno per la propria strada».
   «Parlate come una persona dal cuore spezzato. Voi cosa pensate, tornerete mai assieme a Tomas».
   «L’amore è così, a volte da, a volte prende. Questo periodo di lontananza mi ha dato modo di riflettere molto sul nostro rapporto e mi ha fatto capire molte cose su di noi. A pesarci bene credo fermamente che non siamo proprio fatti l’uno per l’altra. Abbiamo interessi e pensieri diversi e abbiamo due modi di vita completamente opposti».
   «In alcuni casi potrebbe essere un bene. Riuscirebbe a compensare le carenze caratteriali dell’uno e dell’altro».
   «Ti assicuro che nel mio caso non è un bene. Sono stata così ingenua nel credere fino alla fine in questo rapporto che ho capito solo ora che la nostra storia non era incentrata sul vero amore, ma solo sul desiderio di amore. Ho sprecato tanto tempo in un sogno irrealizzabile ed è stata tutta colpa mia», disse con le lacrime agli occhi Sara.
   «So quanto il vostro cuore sia così gentile e vi prego cercate di non pensare più a lui se questo vi provoca tanto dolore. Se quest’uomo non apprezza la vostra bontà d’animo è meglio che lo lasciate perdere del tutto. Voi meritate ben altro. E quanto tempo è durato?».
   Sara si schiarì la gola. «Quattro anni».
   «Quattro anni?» esclamò stupita lei, «e non vi siete mai sposati?»
   «Sposarsi non era di certo nelle intenzioni di Tomas».
   «Oh povera Sara, mi dispiace che abbiate sofferto così tanto».
   «Sono cose che capitano quando si parla di rapporti di coppia. Tomas è il passato, non penso più a lui e non sento più la sua mancanza».


Il Diario di Sara

domenica 8 otobre 1797

Sta matina son ‘ndada denovo a mesa. In cesa iera un ful del zente, e senza nisun dubio più dele altre volte. No fazo fadiga a capir perché… Do file più in la de mi iera Bingley e el suo amico Darcy: ogi me pareva de gaverlo visto su un scagno più alto del solito.
La predica del reverendo Jeffrey Parker la xe stada più noiosa del solito: stavo quasi per spavar su la carega tanto che me stavo divertindo. No fazeva altro che ciacolar de sto Fordyce e de come le babe doveva comportarse nela vita de tuti i giorni per eser aprezade da un omo. Xe un misiot de etichete e regole morali senza senso su come dovesi eser una baba ideale. Inutile che zerché de meter regole solo per aiutarve a capirne un cicinin meio, no ghe la podé far. Vivemo su do pianeti diversi: pensemo, sentimo e percepimo la realtà in modi diversi. Neanche un’iniera enciclopedia serviria per descriverene. Meteve el cuor in pase e fevene una ragion. Quindi, meno frustrazioni e aprezene per come semo.
Quanto xe vere le parole Ashtar Sheran nel dir che semo “un unico ospedale di malati nel corpo e nello spirito, percossi e segnati dal Maligno. A questi malati mancano l’aiuto, la misericordia, la pazienza e l’amore”. Ne manca la conoscenza in noi stesi e gavemo interpretado mal le legi interplanetarie che le ne iera stade dade, fazendo zonte che no centrava gnente e rendendole per la magior parte sbaiade. “Nessuna persona di cultura è in grado di seguire spiritualmente la Sacra Scrittura come è stata ridotta ora”. Ga anche dito che: “Sono sempre i tenaci conservatori delle ´preghiere di pietra` che guastano il popolo, imponendo la propria autorità e ricercando dominio e potenza ostacolano la via del progresso, difendono tenacemente l’errore anziché diffondere la vera conoscenza di Dio; e così finiscono col servire il Suo nemico”.
Possa la verità vincere sulla menzogna.
La parte più divertente dela matina in cesa xe stado el coro finale. Co finalmente xe finida la funzion Bingley el xe andà de balin a ciacolar con Jane (come iera de imaginarse). Mentre el suo amico Darcy iera là che el me vardava in drio man. Per fortuna xe rivada Charlotte perché la situazion iera bastanza fastidiosa.
Dopo la mesa la fameia Lucas i xe vignudi a casa dei Bennet per ciacolare dei soliti babezi del dopo fraia. Ma no i ga altro cosa discuter se no de el balo de ieri sera? Xe tante robe che sucedi nel mondo. Sempre a ciacolar de Bingley e del suo amico Darcy. Anca la siora Bennet la iera dispiasuda per cosa Darcy ga dito ieri sera. Come se me fregasi de cosa pensa sto mato de mi.
Poi la xe vignuda fora co ‘l fato che sempre Darcy el xe stado sentà sul scagno per meza ora vizin a la siora Long senza verzer boca. Ben dai! Se vedi che xe un vizio che continua a ripeterse in sua presenza. A un zerto punto Charolotte ga rivado anca a scusar el modo de far soperbo de Darcy. Co sto ragionamento, se un ga pila anca per el porco, el se pol comportar mal con tuti.
Per finir la zornada i me ga domandado se ge sonavo qualcosa al pianoforte. Me son sentada sul scagno e go sonado Nothing else Matters de i Metallica e poi qualche altra musica che no i gaveva mai sentì. /p>

 

U

n cielo plumbeo sovrastava il verdeggiante e colorato paesaggio di Longbourn. Una luce tenue mattutina filtrava attraverso le nuvole cariche di pioggia, illuminando la vegetazione rigogliosa. Ogni foglia e filo d’erba iniziavano a risplendere illuminandosi d’argento. Un freddo alito di vento soffiò lungo il tracciato lasciato dalle foglie cadute che conduceva verso la casa della famiglia Bennet. Dalla porta d’ingresso uscirono tre giovani donne.
   «Da cosa deriva il vostro fervente interesse per la scrittura Ogham?» chiese Charlotte.
   «È per una ricerca che sto facendo» rispose Sara mentre cercava di coprirsi dal freddo. Mal sopportava il clima umido inglese, sempre così mutevole e instabile. Alzò gli occhi al cielo e lo fissò per qualche secondo. «Quanto tempo abbiamo prima che scoppi il temporale?»
   «Riusciremo ad arrivare in tempo a Meryton prima della pioggia» rispose Mary. «Se siete così preoccupata di bagnarvi, al ritorno potremmo prendere una carrozza».
   «La trovo un’idea eccezionale» rispose Sara mentre si sistemava la cascata di capelli all’interno del cappuccio. Si avvolse maggiormente la lunga giacca scura attorno al suo fisico asciutto e si incamminò assieme alle altre ragazze verso il sentiero. Per alcuni istanti ripensò alla sua amata Trieste: il piccolo lembo triestino, fatto di verdi e aspre colline che si affacciavano sul mare. Quanta nostalgia sentiva nel non riuscire a rivedere il suo amato e duro Carso, con le forme e colori contrastanti come lo era la sua stessa natura, all’apparenza incontaminata e idilliaca, ma in realtà martoriata e disfatta; quanto le mancava l’odore salmastro del mare con il suo dolce mormorio o gli ululati della Bora, che con le sue raffiche dirompenti, piene di energia, era capace di scuotere con veemenza gli alberi in una danza infinita e di far volare via ogni cosa; come fosse un dipinto percepiva nella sua mente il ricordo dei colori della città, la sua natura e la bellezza dei suoi tramonti. Una profonda malinconia avvolgeva Trieste, formata da ricordi e glorie passate, seppellite con la forza nella memoria, ma sempre pronte a esplodere da un momento all’altro, con la stessa forza impetuosa della Bora. Il cuore di Sara era avvolto nello stesso identico modo, in lei aleggiava lo stesso sentimento contrastante e dirompente come la sua amata terra natia.
   «Una volta ho sentito parlare della scrittura Ogham da mio nonno, ma non mi sono mai interessata della faccenda. Dove avete trovato questa scrittura?» chiese Charlotte.
   «Su una porta di pietra situata nel giardino dei Bennet» rispose Sara.
   Charlotte rimase stupita nell’apprendere la notizia. «In tutti quesi anni non ho mai notato la presenza di una porta di pietra con scritture Ogham».
   «È davvero facile non accorgersene» affermò Mary, «è nascosta molto bene tra la vegetazione. Il nostro giardiniere in tutti questi anni non si è preoccupato molto di curare quella parte lontana del nostro giardino».
   «La vostra scoperta denota un’alta capacità di osservazione».
   «Può darsi, ma in questo caso è stato una scoperta del tutto accidentale, te lo assicuro».
   Proseguirono lungo i sentieri chiacchierando delle cose più svariate, comprese alcune considerazioni positive su Mr Bingley e sulla tenera amicizia che si stava instaurando con Jane. Tutte erano d’accordo nell’asserire della presenza di un affetto reciproco in continua evoluzione, cosa che avrebbe forse portato ad un matrimonio felice e pieno di amore.
   La libreria di Mr O’Brayan si trovava in una piccola stradina laterale del centro di Maryton, lontano dal traffico e della polvere sollevata dal continuo andirivieni delle carrozze e dai cavalli.
   Sopra la porta d’entrata spiccava un’insegna di ferro battuto: al centro, in rilievo, spiccava l’immagine di un albero dai lunghi rami rivolti verso l’alto e le radici intrecciate volte nella direzione opposta. Il tutto era colorato con estrema maestra come solo i mastri ferrai erano capaci di fare.
   Sara conosceva molto bene il simbolo: era l’albero della vita o meglio conosciuto come “Crann Bethadh”, simbolo del collegamento tra cielo e terra. Il suo corpo, invece, rappresentava i quattro elementi e il suo frutto era il nutrimento della vita, la sua continuità che forniva l’immortalità. Era un simbolo antichissimo presente persino nella Bibbia: uno degli alberi presenti nel giardino dell’Eden o del Gan-Eden.
   Non appena varcarono la soglia, le campane a vento collocate sopra la porta, tintinnarono come un lieve soffio. La libreria era piena e zeppa di libri e volumi collocati negli alti scaffali o impilati a terra come alte colonne in un equilibrio quasi precario. Sparsi qua e la, antichi manufatti celtici e cimeli antichi che solo un esperto collezionista sapeva possedere. Nell’aria aleggiava un intenso odore di inchiostro tipografico, di carta bagnata e colla.
   «Buongiorno Mr O’Brayan! Sono Mary».
   Dalla stanza accanto si sentì un gran trambusto: il rumore di un oggetto di legno che cadeva sul pavimento, dell’acqua seguito da un lamento in un’altra lingua sconosciuta a Sara.
   «Ah Mary sei tu… Mi chiedevo che fine avessi fatto» rispose lui da lontano. «Solo un momento».

Dopo alcuni minuti al bancone apparve un uomo di mezza età, dai capelli e la barba rosso carota. Portava dei piccoli occhiali da vista sotto il quale si nascondevano piccoli e intensi occhi azzurri. «Cosa ti porta quest’oggi nella mia magnifica libreria? Per caso un nuovo libro da leggere? Sai quanto adoro le giovani donne che desiderano ampliare la loro conoscenza con vaste letture» disse lui con una certa allegria. «Vedo che avete portato delle amiche».
   Indicando Sara, Mary disse: «Questa è mia cugina Miss Sara e lei è Miss Charlotte Lucas».
   «Molto piacere di fare la vostra conoscenza. Come sapete Mary è una delle più assidue lettrici di Meryton, come adoro molto ricordare ai miei più rispettabili clienti» rispose in tono soddisfatto.
   «Lo sappiamo» dissero ad unisono Sara e Charlotte.
   «Cosa posso fare per voi giovani e bellissime menti?»
   «In realtà siamo venute qui per trovare delle risposte» disse Sara in modo deciso. «Ho trovato delle scritture Ogham su una porta di pietra e volevo sapere di più sul suo significato. Mary mi ha detto che lei possiede un libro a riguardo».
   Dopo alcuni istanti Mr O’Brayan rispose: «Mi dispiace, ma non esistono libri in commercio su questo argomento».
   Mary lo guardò stupita. «L’ultima volta che ero qui da voi, ho visto con i miei occhi un libro sulla scrittura Ogham. Era proprio qui sul vostro bancone».
   Mr O’Brayan disse qualcosa di incomprensibile alle orecchie di Sara. «Ah, quel libro» rispose lui alzando le sopracciglia rosse. «Sono molto dispiaciuto, ma quel libro al momento non l’ho qui con me».
   «Possiamo aspettare qui mentre lo recuperate», disse Sara.
   «In questo momento è assolutamente impossibile accogliere questa vostra richiesta».
   «Ho d’avvero bisogno di sapere cosa significhino quelle scritture. Per me è davvero importante», disse Sara mentre porgeva il foglio dove aveva riportato a matita le iscrizioni trovate sulla porta di pietra. «Ecco, le ho riportate su questo foglio».
   Lui lo prese e iniziò ad osservare le singole iscrizioni con molta attenzione.
   Passarono alcuni minuti, poi Sara chiese: «Sa cosa significano?»
   Mr O’Brayan alzò lo sguardo «Un vero irlandese sa cosa voglio dire. Conosco perfettamente le scritture antiche», rispose con un lungo sospiro. «Questo è un canto rivolto alla Regina delle fate Áine».
   «La regina delle fate!» esclamò sorpresa Sara.
   «Áine è la dea Celtica dell’amore e dell’amicizia» disse Charlotte rivolgendosi a Sara.
   «Esattamente!» esclamò Mary «Ed è anche la dea della fertilità».
   Sara non era un’esperta di mitologia e di leggende celtiche se non per qualche nozione appresa qui e là nei festival di musica celtica o in qualche evento new age.
   «Áine è molto conosciuta in Irlanda», proseguì Mr O’Brayan. «Un tempo era anche stata definita ‘Magna Mater’. In alcune leggende si racconta che sia in possesso di un anello capace di rilevare agli occhi dei mortali un magico portale in grado di condurli nel regno del popolo fatato».
   «Il canto cosa dice?» chiese Sara.
   «Oh, sì! Che sbadato, adesso ve lo leggo» rispose lui tutto soddisfatto.


Vieni a me regina delle fate, io ti invoco.

Illumina il mio cammino nelle notti senza luna.

Dea lucente, dai colori argentati, risvegliami! Oh Dea.

Apri le porte dei mondi e mostrami la via,

non farmi cadere e illumina il mio cuore.

Allontana ogni male e si con me, oh Dea.
Avvolgimi con i tuoi raggi d’argento

e allontana tutto ciò che ferisce il mio cuore.

Dona la pace attraverso la porta delle stelle,

conduci le viandanti nel cammino verso l’amore eterno.
Sotto la tua luce e protezione, ricongiungi le anime smarrite nell’arduo cammino.
L’amore sorgerà sotto il firmamento di stelle.

Prego che questo mio canto possa essere ascoltato

oh Dea Áine, Regina delle Fate.

Le porte dei multi mondi si apriranno solo
se il cuore smarrito ritroverà la strada dell’infinito amore.

Possano i splendenti vegliare su di noi nell’arduo cammino.


   Sara restò a meditare sulle parole appena pronunciate. «Quindi è un canto dedicato a chi è alla ricerca della sua anima gemella».
   «O per chi ha smarrito la strada dell’amore», aggiunse Mary.
   «Così sembra» disse Mr O’Brayan. «Stando a ciò che c’è scritto, è un’invocazione necessaria a proteggere le viaggiatrici smarrite nella dura ricerca dell’amore eterno».
   «In poche parole, per aprire le porte dei ‘multi mondi’ una ipotetica viandante deve trovare prima l’amore» affermò Sara. Qua se meti sai mal. Meno mal che go dito che no son in zerca de marì. E deso cosa fazo?
   «Sara, non c’è niente di male nel voler cercare l’amore di un uomo», disse Charlotte. «Tentare di dissimulare o non ascoltare i propri sentimenti potrebbe indurti a non cogliere le opportunità di conquista».
   «Detto così sembra che tu veda un uomo come una preda da conquistare. Mi piacerebbe sposarmi per amore e non cacciare il primo che capita solo per non rimanere da sola».
   «Una preda no di certo, ma un compagno con cui condividere la propria vita, questo sì» rispose Charlotte. «Qualche piccolo e spontaneo incoraggiamento non guasta se serve a spronare un uomo verso il grande passo. Non sono contraria nell’invocare una Dea se questo può aiutare a trovare la felicità in un matrimonio. Anche se, confesso, non sono una persona sentimentale, non lo sono mai stata. Il matrimonio è solo una questione di pura fortuna».
   «Chissà chi sarà il fortunato a sposare Sara» esclamò tutta felice Mary.
   «Se non fossi già sposato con la mia dolce e cara mogliettina, vi avrei già chiesto la mano Miss Sara».
Sara fece una risata trattenuta. Ecolo, Mr O’Brayan el buta sardoni. Mancava anche questa, xe za bastanza complicà el tuto, pensò lei. Poi indicò un’altro simbolo sul foglio. «Di questo cosa sa dirmi?»
   «È la lettera che corrisponde a Beth, la betulla, l’albero della rinascita. Assume anche il significato di guardiana tra questo mondo e l’altro. Dovete capire che l’alfabeto Ogham non esprime solo un fonema, ma concetti molto diversi. Ogni Ogham corrisponde anche ad uno specifico albero».
   «In quello che dite ci sono molte analogie con molte culture nel mondo. Tra i popoli slavi si da molta importanza a quest’albero» affermò Sara. «Le popolazioni siberiane ad esempio, considerano la betulla come l’albero cosmico o asse del mondo. L’albero viene anche chiamato il ‘custode della porta’ perché riesce ad aprire la soglia del cielo allo sciamano. Durante particolari riti, si praticano nove incisioni che simboleggiano i nove livelli celesti che lo sciamano deve superare per compiere il suo viaggio». Si interruppe per pochi istanti. Amore o no, in un modo o nell’altro doveva riuscire a tornare a casa. Lei non si dava ancora per vinta.    «Esiste un modo per aprire questo ipotetico portale senza tutta questa faccenda dell’amore eterno?… Sempre nell’ambito delle ipotesi».
   «Secondo la leggenda, il portale può essere aperto solo dalla regina delle fate o per intercessione».
   «Di chi?»
   «Della Fata, ovviamente».
   «Beh, certo, di fate ne conosco a bizzeffe», rispose con ironia Sara.
   «Sembri prendertela molto sul personale», affermò Charlotte. «Dopotutto sono solo delle leggende. Quando ero una bambina mia madre di solerte amava raccontarmi storie di fiabe e folletti. Non per questo ora le reputo veritiere», concluse lei in modo distaccato.
   «Sono costretto a smentirvi Miss Lucas. Che vi piaccia o no, le fate esistono davvero», affermò convinto Mr O’Brayan come se fosse una cosa ovvia. «Se non le vedete non significa che non esistano. Le fate e tutte le magiche creature si fanno vedere solo a chi vogliono loro. Per loro natura non amano mostrarsi alla maggior parte delle persone umane. Sapete, sono molto diffidenti e non si fidano molto della razza degli uomini».
   «Non faccio fatica a crederlo» rispose Sara con una risatina.
   «Se desiderate incontrarle, potete cercare di invocarle con dei particolari riti, ma non è detto che vi risponda. Comunque è scritto tutto nel mio prezioso libro».
   «Che avete prestato» dissero a unisono le tre ragazze.
   «È in buone mani, ve lo assicuro».
   «In mani di chi?» chiese Sara.
   Lui si schiarì la voce e poi disse: «Sono cose private che non dovrei dirvi… ma potrei fare un eccezione… L’ho prestato a Mr Darcy».
   «Mr Darcy!» esclamarono stupite.

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