I Diari di Diego de Henriquez: l'intervista al colonnello Vincenzo Cerceo • Barbara Mapelli
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I Diari di Diego de Henriquez: l'intervista al colonnello Vincenzo Cerceo





 

In questa prima intervista, il colonnello della Guardia di Finanza Vincenzo Cerceo, parla dei diari di Diego de Henriquez, il collezionista e studioso triestino nato il 20 febbraio del 1909 e morto tragicamente nel 1974 in circostanze ancora non chiarite. L’autopsia venne effettuata appena sette mesi dopo la morte. Dalle quattro inchieste giudiziarie, l’omicidio risulta ad opera di ignoti.

Henriquez era stato definito da molti “professore” per l’altissimo livello culturale raggiunto, era un vero proprio genio per la sua capacità di eccellere in ogni campo. Il settore in cui non aveva rivali era nel campo della meccanica navale e delle grandi opere, pur avendo ottenuto solo un diploma presso l’Istituto Nautico di Trieste.

Era un collezionista ed esperto di tutti i tipi di armi, appassionato di paleontologia, raccoglitore di giocattoli, francobolli, monete, medaglie, 2000 libri di cui molti di interesse militare. Collezionò fotografie e ne anche realizzò lui stesso, immagini che documentavano le rappresaglie, i villaggi in fiamme e gli arrestato. Era anche un appassionato di esoterismo e di spiritismo. Oltre a raccogliere moltissimi documenti di carattere storico, trascrisse una vastissima quantità di quadernetti (287 noti come “Diari”, di circa quattrocento pagine ciascuno, la cui numerazione va da 1 a 313 - 20 risultano mancanti). Il giudice istruttore di Venezia, Carlo Mastelloni, ne utilizzò 354 nell’inchiesta su Argo 16, l’aereo militare precipitato nel 1974 in circostanze sospette.


 

Come afferma Cerceo: “Si trova un’enorme massa di informazioni di prima mano che de Henriquez acquisiva per esperienza diretta oppure perché gli venivano riferite da testimoni oculari o partecipanti ai fatti. L’obiettività dell’autore era tale che, qualora avesse notizie opposte da due fonti diverse sullo stesso argomento, le riportava testualmente senza commenti affinché il lettore potesse prenderne obiettivamente atto. Ritengo che le notizie storiche (che riguardano soprattutto il periodo bellico), se prese in esame con criteri di analisi storica, sono tali che porterebbero addirittura ad un profondissimo riesame della storia recente di questa città e di queste terre”.

 

 

Nei Diari ad esempio viene dimostrato che la salvezza dalla distruzione del porto di Trieste fu dovuta a una decisione dei tedeschi e non per l’azione del CNL. Interessante invece è la parte relativa ai graffiti della Risiera, in cui vengono riportate le scritte apposte dai prigionieri o degli interi elenchi di reparti alpini in attesa di deportazione.

“Tutti parlano del diario 104 con le scritte copiate dai muri della Risiera” afferma Alfonso Henriquez, “ma le cose più esplosive stanno nei venti quadernetti prima dove ci sono i nomi dei collaborazionisti”.

Nel diario 104 sono pochi gli accenni alle scritte della Risiera, ma vengono indicati nomi di collaborazionisti come l’ucraino Mihalič. Le trascrizioni si trovavano nella così detta “sala delle croci” e nelle celle del piano terra.

Nei Diari si parla anche del collaborazionismo locale durante l’occupazione tedesca dal 1943 al 1945. Secondo Henriquez, Trieste fu essenzialmente una città collaborazionista che non si oppose al nazismo, ma fu tollerato. C’era chi faceva la spia, come nel caso dell’avvocato fascista T.Z. (persona molto nota in città) che di propria iniziativa, aveva stilato una lista di quaranta ebrei e l’aveva fatta consegnare al comando delle SS di piazza Oberdan. O il caso di un interprete ausiliario triestino delle SS che traduceva in modo sbagliato le risposte dei sospetto, accentuando al masso gli elementi che poteva danneggiare l’interrogato e sorvolava le cose che potevano andare a suo favore. Un ufficiale delle SS che conoscevano l’italiano, lo rimproverò per il suo comportamento e obbligarono l’interprete a tradurre alla lettera le loro dichiarazioni. L’avvocato triestino Pagnini, scelto dai nazisti come podestà, ha dichiarato in una lettera indirizzata al prefetto di Trieste Bruno Coceani,  di “non considerare i tedeschi come occupanti, ma come alleati con cui collaborare lealmente contro il comune nemico”.

Nei diari si parla della così detta Insurrezione di Trieste di fine aprile 1945 e dell’occupazione iugoslava del maggio-giugno del 1945. Viene riportata anche una dichiarazione del capitano Ercole Miani in merito ai scomparsi ed infoibati afferma che:

“In effetti durante i 42 giorni di occupazione jugoslava della città di Trieste furono deportate (cioè condotte in centri di detenzione fuori città, n.d.r.) poco più di cinquecento persone, ma noi continuiamo a parlare di migliaia e migliaia in quanto la cosa in questo momento politico ci è utile come propaganda anti jugoslava ed anticomunista” (diario 52, pagina 12.512).

© Barbara Mapelli
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