Romanzo a puntate scritto da Barbara Mapelli
Prologo
I boschi cominciavano a tingersi di rosso quando una signora inglese decise di acquistare a Banne l’ex tenuta del nobile Joseph Burgstaller per farne la sua residenza. I lavori di bonifica e di ristrutturazione erano molti, ma il luogo ben si adattava alle esigenze della donna. Lei era la tipica donna inglese: magra, lunghi capelli biondi sempre raccolti e un lungo collo sottile. Nulla si sapeva della sua vita e del suo nome o di cosa si occupasse durante le sue giornate, tutti la chiamavano semplicemente la signora Hill. Solo una cosa era certa: il tempo sembrava scorrere diversamente attorno a lei, come se l'età non potesse toccarla. I suoi occhi azzurri, sempre distanti, avevano una profondità inesplicabile, come se osservassero qualcosa che nessun altro poteva vedere.
I mesi passarono via veloci come il vento e il lungo viale che conduceva alla villa, si riaccese di mille colori. La natura traboccante e selvaggia era stata tolta; l’erba alta che ricopriva l’ingresso principale della casa era scomparsa; si sentivano i profumi dei fiori e dell’erba bagnata dalla rugiada, l’odore dei pini e di gelsomino. Ma a chi prestava attenzione, qualcosa nel vento che attraversava quei giardini dava un lieve senso di smarrimento, come se provenisse da un luogo lontano. Forse oltre il tempo stesso. Anche la luce sembrava mutare sottilmente quando il sole calava dietro le colline, gettando ombre che sembravano contorcersi in forme troppo complesse per la realtà. A volte, chi si trovava a osservarle per troppo tempo, aveva la sensazione che esse prendessero vita, contorcendosi in forme troppo complesse per la realtà. Un gioco della luce, forse, o un riflesso di qualcosa di diverso e misterioso che sembrava aleggiare tra quelle mura. Eppure, la signora Hill non si mostrava mai turbata. Proseguiva nel suo progetto di restauro con la stessa meticolosa attenzione, come se il passare del tempo fosse per lei solo un dettaglio.
L’antica dimora, giorno dopo giorno, si trasformava sotto il suo sguardo vigile e impenetrabile, tornando a risplendere di una bellezza che sembrava attraversare le epoche. Ora non c’erano più muri scrostati, invasi di macchie di umidità, imposte cadenti e saloni vuoti. Ogni stanza era arredata con gusto e senza sfarzo, con mobili antichi arricchiti da oggetti d’arte; quadri di paesaggi inglesi allietavano le pareti tinteggiate di rosa antico. Un ampio atrio rosso accoglieva i pochi ospiti che vi entravano, ma tutti lasciavano la villa con una strana sensazione di spaesamento. Raccontavano che, una volta varcata la soglia, l'aria sembrava più densa, il tempo rallentava, e l'orologio smetteva di ticchettare, come se l'abitazione seguisse leggi diverse.
Quella classica eleganza dell’interno era rispecchiata anche all’esterno. Bianche cornici di marmo circondavano le finestre della facciata principale perfettamente bilanciata. Al centro, la scritta rossa “Caserma Monte Cimone” aveva fatto posto a “Villa Burgstaller” in ricordo del primo proprietario. Più in basso, su un piccolo balcone di pietra, si apriva una porta finestra avvalorata da due blasoni in pietra; su ognuno di essi era stato ridipinto lo stemma della Trieste austro-ungarica. Nella parte sottostante, un’imponente porta in legno massiccio intarsiato permetteva l’ingresso nell’abitazione. Tra la casa e la strada principale, correva una lunga ringhiera nera dalla quale era stato rimosso il lungo filo spinato che circondava l’intero possedimento.
Oltre all’abitazione principale c’erano le case per i domestici, una stalla per i cavalli, delle serre e una piccola chiesa. Tutt’attorno era circondato da una bassa siepe e in un angolo nascosto da una folta vegetazione, c’era una porta di pietra. Le sue iscrizioni erano consumate dal tempo, eppure chiunque si fosse avvicinato raccontava di aver avvertito una vibrazione nell'aria, un fruscio quasi impercettibile, come se dalle antiche incisioni si levassero sussurri provenienti da un luogo lontano. Alcuni sostenevano che quelle incisioni cambiassero, muovendosi sottilmente sotto gli occhi di chi le fissava troppo a lungo. Nessuno sapeva cosa significassero, ma la signora Hill vi si recava ogni sera al calare del buio, con passi leggeri e silenziosi. Chi l'osservava da lontano avrebbe giurato che stesse in piedi lì davanti per ore, senza mai distogliere lo sguardo. Le voci sulle strane luci che comparivano nella notte non facevano che accrescere il mistero. Piccoli bagliori bianchi, freddi, si muovevano a tratti nei pressi della porta di pietra, scomparendo improvvisamente se qualcuno osava avvicinarsi troppo. Si diceva che, nelle notti più buie, si poteva sentire un lieve rumore, come un battito proveniente dalla pietra stessa, un richiamo da qualcosa che non apparteneva a quel mondo. Alcuni vecchi del paese, con il passare del tempo, ricordavano vagamente di aver visto quella donna già in passato. Nei loro sogni, avevano visioni frammentate di lei che si muoveva attraverso paesaggi sconosciuti, su sentieri che attraversavano cieli stellati e città perdute. Nessuno sapeva chi fosse davvero la signora Hill, ma una cosa era certa: quella porta non era solo un antico oggetto dimenticato. Per tutti questi motivi circolavano sempre più spesso strane voci sulla quella bizzarra signora inglese.


