Capitolo 1 - Un viaggio inaspettato • Barbara Mapelli

Capitolo 1 – Un viaggio inaspettato

 
I

l sole aveva iniziato la sua lenta discesa dietro i bellissimi edifici di Trieste, proiettando una luce dorata che trasformava la città in una tela vivente. Sara si trovava in bilico sul bordo di un ponte, con la sua silhouette alta e snella illuminata dal caldo bagliore. I suoi occhi verde smeraldo sembravano catturare e riflettere il mondo con un'intensità che pochi potevano eguagliare.

Osservò con attenzione ogni dettaglio della scena che si stava svolgendo attorno a lei, poi alzò la macchina fotografica e la puntò verso la grande chiesa che si ergeva orgogliosa nella piccola piazza.

Clic.

L'otturatore si chiuse di scatto, imprigionando un singolo fugace momento nel suo cuore meccanico. Il suono riecheggiò nell'aria, come se congelasse il tempo stesso. La bellissima chiesa, segnata dalla storia, si stagliava in netto contrasto con lo sfondo di un cielo infuocato dalle tonalità dell'arancio e del rosa. Ciuffi di nuvole fluttuavano pigramente sopra di essa, i cui bordi si tingevano di un bagliore morbido ed etereo.

Lo sguardo di Sara si soffermò sull’imponente timpano e le alte statue bianche che ornavano la facciata della chiesa. Le linee neoclassiche e le figure scolpite con meticolosa precisione, sembravano animarsi sotto la carezza della luce del sole morente. Ogni angolo, ogni arco elegante, raccontava una storia di devozione e maestria, sussurrando a chi volesse ascoltare i segreti di un'epoca passata.

«Perfetto», mormorò a se stessa. Mentre abbassava la macchina fotografica, Sara non poté fare a meno di stupirsi di come la città abbracciasse con naturalezza la sua ricca storia. Le strade e i palazzi storici risuonavano come sussurri di un lontano passato. L’aroma del caffè appena fatto aleggiava nell’aria, mescolandosi con la brezza salata che arrivava dal mare. In quel momento, Sara si sentì come se fosse stata risucchiata in un'altra epoca, in cui l'eco di voci dimenticate riverberavano nei vicoli stretti o nei ritratti sbiaditi, bisbigliando ai passanti, storie d’amore, di dolore e nostalgia. Era un luogo in cui le svariate culture si intrecciavano simultaneamente, tessendo un arazzo di emozioni che toccava le corde del cuore in chi osava esplorarne le sue profondità.

Le sue dita danzarono con grazia esperta sul pulsante della macchina fotografica, preparandosi per un altro scatto. La musica, pensò, era molto simile alla fotografia: si trattava di catturare l'armonia in mezzo al caos, di trovare il ritmo nel silenzio. L'amore di Sara per la musica era profondo quanto la sua passione per la fotografia — un’estensione del suo stesso essere. C'erano giorni in cui sentiva più note che parole, più melodie che pensieri; altri invece in cui vagava con la mente alla ricerca del proprio essere. La sua anima creativa era sempre alla ricerca di qualcosa che non riusciva ad afferrare con le mani, ma che poteva sentire nel profondo del suo cuore. Un'emozione sconosciuta e indescrivibile che la spingeva a esplorare il mondo in cerca di nuove prospettive e ispirazioni. Il suo appartamento rispecchiava in parte proprio questo: costellato da spartiti musicali, libri, fotografie e appunti scritti qua e là come se fossero dei semplici frammenti della sua anima riversati sulla carta.

Lo sguardo si spostò dal mirino all'orizzonte. Il cielo era infuocato dai colori che solo la natura sapeva dipingere. Sentì un prurito familiare nelle dita, l’impulso a tradurre quella vista in un’immagine.

Scatto di nuovo.

Posò la macchina fotografica ed estrasse dal suo zaino il suo diario. Scrisse alcuni pensieri fugaci che le volarono nella mente in quegli istanti. Poi lo ripose con delicatezza, come se fosse un oggetto prezioso. Persa nei suoi pensieri, Sara si incamminò lentamente lungo il ponte, i suoi passi risuonavano contro l’asfalto mentre si avventurava nell'abbraccio della città. Sapeva che dietro ogni angolo un'altra storia aspettava di essere scoperta, un altro momento attendeva di essere catturato dal suo obiettivo. E così, a ogni scatto, Sara continuava a tessere insieme i fili della storia e delle emozioni, catturando momenti fugaci e immortalandoli nei confini delle sue fotografie. In quei frammenti di tempo congelati, lei ritrovava il modo di far rivivere il passato, invitando gli altri a condividere la bellezza e la meraviglia che Trieste racchiudeva in sé.

Ripose la sua macchina fotografica e si diresse verso la chiesa. Da qualche tempo ormai, Sara si esibiva al centro della piazza, con il suo strumento preferito: il pianoforte. Mentre preparava i suoi spartiti, diverse persone si erano radunate attorno a lei: alcuni erano turisti in visita alla città, altri, invece, erano gli abitanti che avevano cominciato ad apprezzare ogni settimana l’esibizione di Sara. 

La luce dorata del sole filtrava attraverso le fronde degli alberi circostanti, creando attorno a sé un’atmosfera magica e avvolgente. Le ombre danzanti sul pavimento sembravano prendere vita grazie alla magia del suono che Sara creava con le sue dita agili. Un brezza leggera fece stormire le foglie, riempiendo l’aria di mormorii sommessi. Con un tocco delicato, quasi come se stesse risvegliando un amante dal sonno profondo, iniziò ad accarezzare dolcemente i tasti bianchi e neri. Le note vibranti si mescolavano in un'armoniosa melodia che trasportava i cuori dei presenti in un altro mondo. Ogni singola nota che risuonava nell’aria era come una pennellata di colore su una tela bianca. Gli accordi si intrecciavano l'uno con l'altro in una sinfonia visiva che danzava nell'aria, catturando l'attenzione di tutti coloro che passavano per la piazza.

Le mani di Sara si fermarono sull'ultima nota del suo concerto, sospesa nell'aria come una promessa sussurrata. Il pubblico rimase incantato e immobile per un istante, prima di rompere in fragorosi applausi, celebrando la bellezza e la grandezza della musica che avevano appena ascoltato.

«Suoni ancora per i piccioni?» La voce di Tomaš era dolce, ma adornata da un tenue scintilla di derisione nei suoi occhi. La sua statura alta bloccava gli ultimi raggi del sole al tramonto. Le ombre accentuavano i lineamenti angolari del suo viso e oscuravano suoi capelli castani, dandogli l'aspetto di uno spirito inquieto che infestava la soglia.

«La musica non è fatta per chi non sa ascoltare», rispose con freddezza Sara senza voltarsi verso di lui. «Ma come puoi ben vedere, non ci sono solo i piccioni ad ascoltare la mia musica.»

«Piccioni o no, a volte mi chiedo se preferisci la compagnia di quegli uccelli alla mia.» Le sue parole erano intrise di un umorismo che non aveva lo scopo di farla divertire.

«Forse ascoltano meglio», disse lei a bassa voce, alzandosi dalla sedia con la grazia di una ballerina, ma sentendo il peso del suo sguardo come mani che cercavano di trattenerla.

«O forse non rispondono affatto», ribatté lui, con le labbra contratte in una parvenza di sorriso che non raggiungeva agli occhi.

La tensione tra loro stava crescendo in una silenziosa guerra. In quel momento, una parte di Sara voleva dimenticare tutto e cedere alle richieste di Tomaš, solo per evitare una discussione inevitabile, mentre l’altra parte fremeva all’idea di lasciarlo andare.

«Mi ha chiamato tua madre», Tomaš cambiò bruscamente argomento, osservandola con attenzione. «Sembrava… preoccupata. Ha detto che da due giorni non rispondi alle sue chiamate.»

«Le ho inviato un messaggio», rispose Sara seccata. «Più tardi la chiamerò.»

Negli ultimi giorni le telefonate di sua madre Emma erano state più frequenti del solito, ma la sua voce era tinta di una stanchezza che riecheggiava nei tratti che incorniciavano i suoi caldi occhi grigi. I riccioli dei suoi capelli rossi, un tempo vivaci come foglie d'autunno, ora mostravano striature d'argento, ed erano la testimonianza delle notti passate in ospedale piuttosto che a casa.

«E tuo padre lo hai sentito?» chiese Tomaš, con voce appena udibile, già sapendo che la risposta sarebbe stata negativa.

Richard Rosenwirth, l'uomo la cui mente danzava tra le stelle, ma che inciampava quando si trattava di questioni di cuore, era sempre rimasto distaccato dalla famiglia. La sua figura, dall’intelletto a dir poco geniale, era avvolta più che altro dall’incapacità emotiva. Sara se lo immaginava ora, chinato sui suoi progetti e calcoli, con gli occhiali appollaiati in modo precario sul naso e le sopracciglia aggrottate, che si allontanavano dalla folta chioma di capelli.

«Non mi scrive da oltre un mese», confermò Sara con una nota di disprezzo. «Ma d'altronde, quando ha mai prestato attenzione a qualcosa che andasse al di fuori delle sue preziose formule o ai suoi macchinari?» Sara trasalì. Era vero che il rapporto con suo padre era teso e le loro comunicazioni scritte erano più simili a lezioni che a conversazioni, ma secondo lei non c'era malizia nella sua negligenza, solo una distrazione che faceva parte di lui come il respiro. «Il suo lavoro è sempre stato più importante della sua famiglia», si difese con dolcezza.

«Più importante anche di sua figlia, a quanto pare», mormorò Tomaš con voce tagliente, avvicinandosi a lei. La sua presenza soffocante le ricordava le scelte che aveva fatto e le catene invisibili che sembravano soffocarla a ogni respiro.

«Ne parleremo nei prossimi giorni, te lo prometto», disse Sara a bassa voce, guardandolo negli occhi, alla ricerca dell'uomo che un tempo credeva di conoscere.

«Va bene», borbottò Tomaš, «ma ne parleremo, Sara. Non puoi continuare a ignorare i nostri problemi nascondendoti dietro la macchina fotografica o i tasti del pianoforte.»

«Forse ai ragione», ammise lei come se fosse un’invocazione salvifica impressa nelle curve delle labbra, «ma è il mio rifugio.»

Mentre Sara si allontanava a passi svelti, lasciando Tomaš da solo, il suo pensiero corse verso suo padre e alla sua lontananza. Non riusciva a liberarsi dalla sensazione di un vuoto inespresso, sepolto nel profondo del suo essere. Il suo cuore soffriva di un desiderio taciuto, una promessa silenziosa fatta a se stessa che avrebbe colmato il divario che la separava dal suo passato. 

L'aria fresca della sera la avvolse in un abbraccio consolante, portando con sé un senso di chiarezza. Si rese conto che, proprio come suo padre aveva scelto di mantenere le distanze, anche lei si era trattenuta dall'abbracciare pienamente i propri desideri e sogni.

Con un bagliore di speranza negli occhi, si voltò verso Tomaš e si fece una promessa silenziosa: doveva liberarsi dalle ombre del passato per compiere un passo coraggioso verso la luce del proprio futuro e prima di tutto, verso l’amore per se stessa.

Una volta arrivata a casa accese il suo computer e iniziò a scaricare le foto che aveva scattato quel giorno. Le immagini dell’incantevole tramonto in riva al mare, delle rose colorate, degli edifici sotto un cielo rossastro e di innamorati nel loro beato abbraccio si susseguivano sullo schermo. Sara esaminò ogni dettaglio del suo lavoro, scartando alcuni scatti e miglirando con cura tutti quelli che esprimevano meglio la sua anima artistica. Immersa nel lavoro, il tempo volò via in un lampo e, prima di rendersene conto, era già tarda notte. Gettò un’occhiata al cellulare e sospirò dolcemente: era troppo tardi per chiamare sua madre. Chiuse il portatile e andò in cucina per prepararsi un pasto frugale.

Si tuffò poi in una doccia calda, lasciando che il vapore avvolgesse il suo corpo spossato. Riuscì a rilassarsi e a dimenticare, per un istante, i suoi problemi. Avvolta in un morbido accappatoio, indossò un comodo pigiama e, prima di rifugiarsi sotto le coperte del letto, prese dalla libreria un vecchio libro ingiallito che le aveva regalato suo padre. Le pagine traboccavano di racconti che parlavano di antiche leggende perdute nel tempo, creature fatate che dimoravano nei boschi tra gli alberi secolari e storie di viaggiatori solitari che avevano attraversato portali ed erano stati trasportati in mondi sconosciuti. Sara adorava quel libro: ogni pagina era una finestra su mondi fantastici in cui l’impossibile poteva diventare realtà. Si soffermò su alcune descrizioni di porte segrete, varchi invisibili agli occhi di uomini comuni che conducevano a mondi nascosti e intraterreni. Veniva raccontato come questi viaggiatori riuscivano ad aprire queste porte, grazie alla forza della loro mente e alle invocazioni pronunciate con precisione. Tra le avvincenti narrazioni, una storia in particolare catturò l’attenzione di Sara. Parlava proprio di Trieste e di alcuni luoghi nascosti, custoditi tra le rocce del Carso. In fondo a una pagina consunta, quasi sbiadita dal tempo, si accennava ad uno di questi enigmatici passaggi che si trovava proprio nelle vicinanze della tenuta del nobile Joseph Burgstaller, una storica dimora situata a Banne, recentemente acquistata da una ricca signora inglese: la misteriosa Mrs Hill.

L’indomani mattina Sara si vestì in tutta fretta, mise la macchina fotografica nella borsa del computer e uscì di casa. Era decisa più che mai a recarsi a Banne per scoprire dove fosse nascosta la porta di pietra descritta in quel vecchio libro. Pedalò con calma attraversando varie strade e sentieri, godendosi la luce del mattino che illuminava i verdi boschi carsici con un dorato splendore, tingendo il cielo di un azzurro vibrante. Quando arrivò a destinazione, il sole era quasi allo zenit. Alcune perle di sudore si erano accumulate sulla fronte. Le spazzò via con il dorso della mano prima di scendere dalla sua bicicletta. Sentiva il calore del sole baciarle le guance e riscaldare la sua pelle morbida. Legò la bicicletta ad un palo, tolse il casco e si incamminò lungo il sentiero di ghiaia. Si fermò un momento per osservare la tenuta ristrutturata di proprietà di questa misteriosa signora Hill: la facciata era abbellita qua e là da fiori colorati, alcuni appesi e altri sparsi sul terreno, nonché da alcune piante che ornavano il tutto.

Sara si avvicinò cautamente alla casa, cercando di non destare troppa attenzione. La macchina fotografica era pronta. Catturò alcuni fotogrammi del paesaggio circostante prima di cercare, lungo il perimetro della tenuta, il sentiero che la avrebbe condotta alla misteriosa porta di pietra. Imboccò con passi decisi una stretta strada lastricata di rocce grigie che costeggiava i confini della proprietà. Mentre camminava, tutto ad un tratto un suono acuto e soffocato ruppe il silenzio dell’aria. Sara si fermò bruscamente, cercando di individuare la fonte della vibrazione che sembrava essere molto vicina. Decise di proseguire. A ogni suo passo, il suono si faceva sempre più intenso. Giunse alla fine del sentiero e lì, nascosta tra la vegetazione si ergeva da terra, forte e solitaria come fosse un guardiano di storie dimenticate nel tempo, una porta di pietra. Sara si avvicinò con cautela, con il cuore che le batteva forte per l’eccitazione. La porta era massiccia, realizzata in pietra grigia e decorata da intricati intagli. Strane scritte e particolari simboli ne ornavano la superficie. Gli occhi di smeraldo tracciarono i contorni delle iscrizioni incise sulla roccia, ognuna delle quali stuzzicavano la sua curiosità. Con il palmo della mano passo lungo i motivi decorativi della porta di pietra, ma appena lo fece percepì una particolare energia. Fece un passo indietro e, senza esitazione, prese la sua macchina fotografica per immortalare le enigmatiche iscrizioni. Più tardi, nel suo appartamento, avrebbe analizzato con calma ogni simbolo. Uno in particolare sembrava esercitare un potere magnetico su di lei: l’immagine di un doppio cerchio. Spinta da una forza a cui non sapeva dare un nome, Sara mise il palmo della mano contro quel stesso simbolo. Un brivido le corse lungo la schiena, mentre una misteriosa energia cominciava a pulsare dentro il corpo. Era come se qualcosa dentro di lei si stesse risvegliando da un letargo profondo. All’improvviso, una tenue bagliore apparve nel centro della porta, espandendosi rapidamente e illuminando tutta la zona circostante. 

«Impossibile», disse lei sospirando, incapace di distogliere lo sguardo dal fenomeno che si stava svolgendo davanti ai suoi occhi. La luce si diffuse, ramificandosi lungo gli schemi interconnessi, illuminando la porta in una danza spettrale di ombre e luminosità. Il terreno sembrò fremere sotto i suoi piedi e una risonanza iniziò ad avvolgerla.

Sara indietreggiò.

Cadde a terra, ma con una rapidità fulminea si rialzò e si allontanò di corsa da quella forza misteriosa che la stava risucchiando. 

Capitolo 1 – Un viaggio inaspettato
Usiamo cookie per ottimizzare il nostro sito web e per statistiche anonime, da qui puoi gestire le tue preferenze Data Protection Policy.
Read more
error: Content is protected !!