Un'altra vita all’improvviso - Come farsi catapultare impreparati nel mondo di Jane Austen - Capitolo 2 • Barbara Mapelli
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Un’altra vita all’improvviso – Come farsi catapultare impreparati nel mondo di Jane Austen – Capitolo 2

Il diario di Sara: un viaggio inaspettato
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Il diario di Sara: un viaggio inaspettato
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Romanzo a puntate scritto da Barbara Mapelli

Versione alternativa a "Orgoglio e Pregiudizio"


 

Capitolo 2

La signora Hill

Il Diario di Sara


Lunedì 4 setembre

Tu mare grega. Son cagada… Co scrivo… la mia pena continua a sbrisarme da i miei dedi che trema… Quela maledeta porta de piera freda come ’l cuor de un traditor… Tu mare grega…

Dopo gaver ciacolado con i siori Bennet son andà fora in giardin, sperando de riciapar la mia bici do che la gavevo lasada. Ma pena che go meso un pie fora da la porta, me son corta de trovarme in un altro logo che no conoso.

A un fià de pasi da la casa de pieracota rossa, scori un patoc atraversà de un pontisel de legno che cigola soto i mii pie. ‘Na basa siepe verde zirconda ’l grando giardin ben curà, tapezà de aiuole colorade, de piante de lavanda e de alberi de fruti; un bic più in là, xe un altro giardin serà co un mureto de piera grisa su cui se rampiga elere e gelsomini, e che se va dentro pasando per un arco de piante rampiganti. Al zentro del bel giardin, se riza un albero sai grando con tante foie che sventola con la bavisela.

In un primo momento go pensà de trovarme in ‘na altra parte de l’abitazion de la siora Hill che propio no comnosevo… Ma poi go capì che no iera cusì… me trovavo in un altro logo. Go spezionado tuta la zona intorno a la casa e un bic lontan de soli pochi zentinaio de metri senza riconoser gnente.

Me sta ciapando ’na strenta.

No xe gnente de familiare: solo campi, pra, cavai e prasez.

El sior Bennet me ga dito de gaverme trovà soto l’arco de piera che xe in’tel giardin, vizin l’albero grando. Ghe go domandà, con un pel de cago, se per caso el conosesi la siora Hill, ma lu me ga risposto, in modo sai forbito, de no gaverla mai sentida nominar. La pezo roba xe che go scoverto de trovarme ne l’Inghiltera del XIX secolo.

Camastela, stavo per svenir.

E mi che pensavo che i viagi nel tempo fussi solo per i amanti de la fantascienza o per i fisici sai determinadi come mio pare!

Gnente paniz… Respira in modo lento e rilasite.

Camastela… Come go fato a finir in sto logo? Spero sia solo ’l fruto de la mia imaginazion, forsi go ciapà un tiro su la glava e son in coma.

Go zercado de sveiarme da sto sogno, sbatendo in drio man i oci…

Camastela, no xe nato gnente. Par propio che son blocada in sto kafkiano Cinciut.

Spero che tuto questo xe solo un bruto sogno — ma xe cussì real…

Sento ’na catarigola suso per la schena. 

 

 

Traduzione

Tu mare grega. Sono fregata… Mentre sto scrivendo… la mia penna continua a scivolare dalle mie dita tremanti… Quella maledetta porta di pietra, fredda come il cuore di un traditore… Tu mare grega… 

Dopo aver parlato con i signori Bennet sono uscita in giardino, sperando di ritrovare la mia bicicletta dove l’aveva lasciata. Ma appena ho messo un piede fuori dalla porta, mi sono resa conto di trovarmi in un luogo a me del tutto estraneo.

A pochi passi dalla casa di mattoni rossi, scorre un ruscello attraversato da un piccolo ponte di legno che scricchiola sotto i miei passi. Una bassa siepe verde smeraldina delimita un ampio giardino ben curato, tappezzato da aiuole colorate, piante di lavanda e alberi da frutto; più in là, si estende un altro giardino recintato da un piccolo muro in pietra grigia su cui si arrampicano edere e gelsomini, il cui accesso è segnato da un arco di piante rampicanti. Al centro del grazioso giardino, si erge maestoso, un grande albero dalla chioma rigogliosa che ondeggia nella brezza leggera.

All’inizio ho creduto veramente di trovarmi in un’altra parte dell’abitazione della signora Hill che proprio non conoscevo… Ma presto mi sono resa conto che non era così… mi trovavo altrove. Ho setacciato ogni centimetro esterno della casa e dei dintorni per alcune centinaia di metri senza riconoscere nulla.

Sono nel panico.

Non c’è nulla di famigliare: solo campi, prati, cavalli e maiali.

Mr Bennet mi ha detto di avermi trovata sotto l’arco di pietra situato nel giardino vicino al grande albero. Gli ho chiesto, con una leggera ansia, se conosceva questa signora Hill, ma lui ha risposto, in modo pacato, di non averla mai sentita nominare. La cosa peggiore è che ho scoperto di trovarmi nell’Inghilterra del XIX secolo. Per tutti i santi in paradiso, stavo per svenire. E io che pensavo che i viaggi nel tempo fossero riservati agli appassionati di fantascienza e ai fisici troppo ambiziosi come mio padre!

Niente panico… Respira lentamente e rilassati. 

Camastela… Come ho fatto a finire in questo posto? Mi auguro che sia solo il frutto della mia immaginazione, forse ho preso una botta in testa ed ora sono in coma.

Ho cercato di svegliarmi da questo sogno, sbattendo ripetutamente le palpebre…

Camastela, non è successo nulla. Sembra proprio che io sia bloccata in questo surreale incubo. 

Spero che sia solo un brutto sogno. Ma sembra tutto così fin troppo reale….

Un brivido gelido sta salendo lentamente lungo la schiena.

 

Martedì 5 setembre 1797

Ancora qua… Purtropo.

Ieri, dopo che go savù la “bela” notizia, go ciacolado col sior Bennet. Xe un omo sai cocolo e comprendi sai ben i altri, ma no credo che ’l gabi credù del tuto a la mia storia. Forsi ’l me credi mata. Che bel pensiero… No voio andar a contar saseti solo perché digo de vignir dal 2022. Co go finì de contarghe tuto, ’l me ga consilià de no contar a nisun sta storia e de do che son vignuda. Come darghe torto, chi me poderia creder? Gnanca mi ghe credo! 

El me ga domandà qualcosa de mi e de la mia familia, ma no iero sai contenta de contarghe trope robe de mi e su la mia vita. Sto qua xe un logo sai diverso da quel che conoso e tuto quel che gavevo pensado per ’l mio futuro par che no lo poso più far. Per no parlar del fato che no poso comunicar con mia mama o i miei amici per domandar aiuto o zercar una soluzion a sto problema. No so proprio cosa far.

Nonostante tuto i siori Bennet i ga insistido che mi dovevo restar come ospite a casa de lori. Ga zontado anca che saria meio contar che son una loro cugina austriaca, vegnuda a farghe visita. 

Ieri go anca conosudo le fie de lori. A parte Jane, una mula bela e sai cocola, e soto zerti aspeti Mary, le altre le trovo sai, ma sai svode e anche sai pampele. No i le fa altro che ciacolar de sto Bingley e de come trovar un marì. Par proprio che ’l loro unico pensier ne la vita sia quel de sposarse ’l prima posibile. Epur le xe ancora de le mule giovini. Una mula de la loro età la doveria gaver altri interesi e no impegnarse interamente a zercar un omo pien de pila che la mantegni per tuta la vita. Iero cusì stanca de scoltar sti babezi svodi che a la fine go domandà a Jane se la gaveva voia de farse un giro. 

 

Traduzione

Ancora qui… Purtroppo. 😣 

Ieri, subito dopo che ho scoperto questa splendida notizia, ho parlato con Mr Bennet. È un uomo molto cordiale e comprensivo, ma non credo abbia creduto a tutta la mia incredibile storia. Forse pensa che io abbia perso le rotelle. Che bel pensiero… Non vorrei finire rinchiusa in manicomio solo perché sostengo di venire dal 2022. Quando ho terminato il mio racconto, mi ha caldamente consigliato di non rivelare a nessuno la mia storia e da che anno provengo. Come dagli torto, chi mi crederebbe mai? Diamine, nemmeno io!

Mi ha anche chiesto del mio cognome e della mia famiglia, ma non ero molto propensa a rivelare troppo su di me o sulla mia vita. Questo è in un mondo completamente diverso da quello che conosco e tutto ciò che avevo pianificato per il mio futuro sembra irrealizzabile. Inoltre, non posso nemmeno comunicare con mia madre o i miei amici per chiedere aiuto o cercare una soluzione a questo problema. Non so proprio cosa fare. 

Nonostante la mia bizzarra situazione, i signori Bennet hanno insistito affinché rimanessi loro ospite. Per rendere le cose meno complicate, avrei dovuto fingere di essere una loro lontana cugina austriaca, in visita dai parenti.

Ieri ho conosciuto anche le loro figlie. A parte Jane, una ragazza gentile e dalla bellezza eterea, e sotto certi aspetti Mary, le altre ragazze le trovo molto sciocche. Non hanno fatto altro che chiacchierare di questo Mr Bingley e di come trovare marito. Sembra che il loro unico scopo della vita sia quello di accasarsi il più velocemente possibile. Eppure, sono ancora delle adolescenti. Una ragazza della loro età dovrebbe avere altri interessi e non dedicarsi tutto il tempo alla ricerca di un uomo facoltoso che la mantenga per tutta la vita. Ero così stanca di ascoltare questi discorsi vuoti e noiosi che alla fine, ho chiesto a Jane se aveva voglia di uscire per una rilassante passeggiata. 

 

 

 

«Sono così felice che ora facciate parte della nostra famiglia», disse Jane con calore a Sara mentre camminavano verso Meryton. «Non riesco rammentare l'ultima volta che ho visto mio padre così pieno di vita. Siete riuscita a donargli una gioia che credevo fosse oramai perduta per sempre».

«Ti ringrazio. Siete stati tutti molto gentili e accoglienti», rispose Sara con un sorriso timido e sincero. Una leggera brezza sollevò alcune ciocche dei suoi capelli mentre guardava il sentiero davanti a sé. «Spero solo di non arrecare troppo disturbo con la mia presenza».

Jane sorrise con una dolcezza angelica. «Oh, ne dubito fortemente. La mia famiglia è in grado di far sentire chiunque a proprio agio. L’unica cosa che dovrete sopportare sono i nervi delicati di nostra madre». Si voltò verso Sara e le strinse delicatamente una mano in un gesto rassicurante. «Vi prego, consideratevi come se foste a casa vostra. Per noi è un vero piacere ospitarvi. D’altronde, una bella ragazza come voi non poteva essere lasciata sola».

Sara tirò un sospiro di sollievo. Era preoccupata di doversi inserire in modo inaspettato nella sua famiglia, ma le parole di Jane la rassicurarono. Continuarono la loro passeggiata lungo il sentiero, chiacchierando della loro vita per conoscersi meglio.

Ad un certo punto Jane disse: «Sapete, voi mi ricordate molto la mia povera sorella Lizzy». Il suo sguardo si velò di una tristezza nostalgica. «Più vi guardo e più me la rammentate. Stessa corporatura delicata, stesso viso e stessi lunghi morbidi capelli che ricadono sulle spalle come seta. Vi differenzia solo il colore degli occhi. I suoi erano neri brillanti, i vostri invece sono di un bellissimo verde smeraldo, luminosi e altrettanto espressivi e unici, proprio come erano quelli di mia sorella».

Per un momento Sara rimase senza parole, colpita dalle parole di Jane. Non aveva mai pensato di assomigliare a qualcuno a tal punto da rievocare il ricordo di una persona cara. «Davvero?!» esclamò infine con sincera meraviglia. «Da come mi è stata descritta da tuo padre, non credo di possedere lo stesso fascino magnetico di tua sorella. Per non parlare del mio terribile accento inglese», aggiunse con un lieve sorriso imbarazzato.

«Siete una persona così modesta e umile» replicò lei con tono affettuoso. «Secondo il mio modesto parere, il vostro accento non è poi così male. Con un po’ di pratica nessuno si accorgerà delle vostre origini straniere».

Sara arrossì leggermente e non poté fare a meno di sentirsi incoraggiata dalle parole di Jane.«Se lo dici tu», rispose Sara poco convinta, osservando i movimenti eleganti di Jane mentre parlava.

«Non scoraggiatevi. Se ne avrete la necessità, potrei insegnarvi ciò che vi occorre sapere».

«Ad esempio… come riuscire a fare quattro passi di danza senza pestare i piedi a qualcuno?» chiese con tono ironico Sara.

Si guardarono negli occhi e scoppiarono entrambe in una risata contagiosa. Per un breve istante Sara dimenticò tutte le preoccupazioni che l’avevano afflitta, in quel tempo così lontano dalla sua vita abituale. Fino a quel momento aveva concentrato tutte le sue energie nel cercare la strada di casa e ritornare alla sua epoca, ma ogni singola idea che le era venuta in mente si era rivelata infruttuosa. Dei pensieri la tormentavano. Si chiedeva per quale motivo era finita in questo luogo così lontano nella storia e cosa avrebbe mai potuto fare in questa situazione.

Nulla. Almeno per ora.

L'aria fresca accarezzò il viso di Sara e il calore del sole le infuse una sensazione di speranza. Forse non tutto era perduto.

«Sì, il ballo potrebbe essere una di queste», ammise Jane.

Senza pensarci troppo Sara esclamò in modo ironico: «E magari con la pratica diventerò più brava di Fred Astaire e Ginger Rogers».

«Chi sono Fred Astaire e Ginger Rogers?», chiese Jane incuriosita. «Sono dei vostri amici?»

Sara rimase immobile per un momento, incerta su come rispondere. «Beh, non proprio… amici… Erano, o meglio… saranno… sono… degli attori e ballerini americani del cine… del teatro», rispose gesticolando con un certo imbarazzo. In cuor suo Sara sperava di non dover dare altre spiegazioni in merito, né raccontare cosa fosse il cinema o qualsiasi altra diavoleria del futuro.

Jane annuì lentamente, aggrottando le sopracciglia mentre cercava di comprendere la sua spiegazione. «Interessante», commentò con un cenno di capo prima che Sara cambiasse abilmente argomento e si concentrasse sull’aspetto del ballo. 

«Adoro il ballo» disse Sara con un sorriso, «ma non ho mai trovato né il tempo, né l'occasione per dilettarmi a imparare». In fondo al cuore, sapeva di essere abbastanza impacciata. Nemmeno Tomaš, il suo ragazzo, aveva mai saputo incoraggiarla adeguatamente. I suoi persistenti inviti nella solita discoteca assordante non fecero altro che intensificare tale convinzione. Ricordava ancora le ore passate ad ascoltare l’incessante martello pulsante dei bassi diffusi dai potenti altoparlanti, accompagnati dalle luci psichedeliche che si infrangevano ovunque nella sala e dall’alcol che scorreva a fiumi. Di sicuro non era il genere di serata che piaceva a Sara. Infatti, ogni dannata volta lei si metteva in disparte, ai margini della pista da ballo, come se volesse staccarsi del tutto da quell’ambiente soffocante che ai suoi occhi, appariva come l’esibizione di una decadente umanità che si muoveva a ritmo compulsivo. Si sentiva profondamente alienata rispetto a quella esplosione selvaggia degli istinti umani. Lei e Tomaš? Forse appartenevano a due mondi differenti, distanti un migliaio di miglia o forse più. Sara ambiva a qualcosa di più raffinato, romantico e tradizionale. Avrebbe desiderato stringere il suo cavaliere e assieme a lui, volteggiare sulle note morbide di una sinfonia armoniosa, avvolti in un’intensa ed appassionata emozione e uniti da un lungo e appassionato abbraccio. 

«Con un po’ di pratica riuscirai a ballare come Fred Astaire e Ginger Rogers, ne sono certa».

Dopo una lunga camminata sotto il sole pomeridiano, arrivarono a Meryton. Era una cittadina pittoresca, tagliata a metà da un piccolo fiume che toccava con le sue limpide acque, le graziose case di pietra. La strada principale era un’orchestra di carrozze trainate da cavalli che sferragliavano e tintinnavano contro il terreno, con gli zoccoli che risuonavano in lontananza; alcuni interrompevano la loro corsa per poi ripartire, altri invece proseguivano senza interrompere il loro percorso, incuranti del flusso costante dei pedoni. Ai lati, vi era un susseguirsi di botteghe artigiane e piccoli negozi che offrivano instancabilmente ogni genere di merce. Ognuno di essi sembrava sprigionare una propria fragranza e un colore del tutto particolare: si sentiva il profumo del pane appena sfornato, l’intenso odore di spezie e del pesce appena pescato, del dolce mosto lasciato a fermentare e un costante aroma di caffè. I colori della frutta e della verdura spiccavano come un fiore appena sbocciato in mezzo a un prato verde. Tutto questo turbinio di colori e odori era accompagnato da un chiacchiericcio incessante, spezzato ogni tanto dal nitrito dei cavalli e dallo scalpitio degli zoccoli sulla terra battuta. Agli occhi di Sara tutto questo sembrava un piccolo e incredibile universo racchiuso tra quattro mura, così lontano e scollato dalla mondo globalizzato e privo di personalità in cui era cresciuta. 

Jane e Sara si fecero largo tra la folla: l’una si muoveva con estrema agilità lungo quelle vie che ben conosceva, l’altra camminava con estremo impaccio, stando bene attenta a non calpestare i vari escrementi di cavallo che stazionavano lungo la strada. 

«Dove stiamo andando?», chiese Sara dopo aver schivato un passante.    

«Nel più bel negozio di Meryton».

«Cosa devi comprare?».

«Alcuni nastri e un abito per voi».

«Per me?», rispose sorpresa. «Ho già tutto quello che mi serve, non desidero altro. E poi, non saprei proprio come restituirti il denaro».

«Restituirmi il denaro?», ribatté lei sorpresa. «Come potete dire una cosa del genere? Non pensateci nemmeno». Il calore scorreva tra loro mentre Jane afferrava saldamente le mani di Sara e la guardava negli occhi: «Consideratevi oramai parte della nostra famiglia. Potrebbe sembravi strano, ma è come se fossimo sorelle da sempre! Quindi vi prego di accettare la nostra ospitalità senza dubbi o sensi in colpa perché potreste ferire i miei sentimenti… e scontentare mio padre».

 «Apprezzo la tua cortesia e ti ringrazio», disse Sara con un sorriso sincero. «Sarò sempre grata per la tua gentilezza».

Proprio in quel momento, all’estremità della strada, tra il viavai frenetico di persone, Sara riconobbe una sagoma familiare che emergeva da lontano: quel distinto chignon dorato impeccabile poteva appartenere a una sola persona.

Jane notò subito l'agitazione sul volto di Sara: «C'è qualcosa che non va?» chiese con preoccupazione.

«Nulla…» rispose Sara, «scusami solo un momento». Con un gesto rapido, lasciò le mani di Jane e iniziò a correre verso la donna che tormentava i suoi pensieri e gridò: «Signora Hill!» Il suono delle sue parole echeggiò tra le strade trafficate mentre si avvicinava sempre più alla donna che l’aveva segnata così profondamente. 

Sara non riusciva a credere ai suoi occhi. Una barlume di speranza cominciò a insinuarsi nella sua mente. Se la signora Hill era qui, significava solo una cosa: esisteva una remota possibilità di tornare a casa. Aveva sognato questo momento ogni singolo giorno da quando era finita in questo luogo e ogni notte aveva bramato di andarsene. Ora il suo desiderio era proprio lì, davanti lei, a pochi metri di distanza. Il cuore iniziò a battere forte e alcune lacrime cominciarono a scendere lungo il suo viso. Doveva raggiungerla a tutti i costi.

«Signora Hill, la prego, si fermi!», supplicò Sara, ma la donna non si voltò e continuò a camminare dritta per la sua strada. Sara stava quasi per raggiungerla, ma scivolò goffamente e cadde a terra in una pozzanghera in mezzo a una strada affollata. All’improvviso tutti gli occhi dei presenti si posarono su di lei: una giovane ragazza, all’apparenza mezza matta, che gridava a una donna sconosciuta di fermarsi.

Con una smorfia di dolore, Sara si rialzò in piedi: aveva le ginocchia doloranti e il vestito sudicio e scomposto. Il rumore delle carrozze che passavano e il ronzio delle conversazioni riempivano l'aria, soffocando i suoi richiami. Riprese fiato, si scrollò di dosso l'acqua fangosa che le si era aggrappata ai vestiti e continuò a seguirla lungo la via, muovendosi tra la folla di persone che sembravano ignorare la sua situazione.

La vide.

Era sempre più vicina.

Riuscì quasi a raggiungerla. La disperazione alimentava ogni passo di Sara che chiamava ancora e ancora, sperando, contro ogni speranza, in una risposta. La donna girò in una piccola strada laterale ed entrò in una casa dalla porta azzurra. Sara la seguì, ed entrò dentro come se fosse un uragano.

«Signora Hill!» esclamò ansimando Sara.

Le persone sedute ai tavoli si ammutolirono di colpo osservando quella graziosa donna, dall’aspetto un po’ sgraziato, apparsa all’improvviso. Da dove veniva quell’angelo bagnato come un pulcino e dall’espressione così sconvolta? Forse gli astanti, meravigliati di quell’apparizione, avrebbero dovuto sapere chi stesse cercando. Ma Sara non fu così fortunata come ci si aspetterebbe in una situazione simile. Tra l’odore di birra e lo sgradevole tabacco fumato, un uomo si fece avanti chiedendo in modo gentile chi mai stesse cercando.

Sara con tutte le sue forze si ridestò da quella situazione imbarazzante e disse: «Mi scusi per essere piombata così nel vostro locale, ma non avete visto una donna di una certa età, con un chignon biondo entrare qui dentro?»

 «Lo trovo improbabile Miss» rispose l’uomo dai lunghi baffi, «come potete vedere questo locale è riservato solo agli uomini. Non è adatto alle signorine belle come voi». 

«Siete davvero sicuro di non aver visto nessuna donna entrare nel vostro locale?» insisté lei,

«A parte voi Miss, non è entrato nessuno».

«L’ho inseguita fino a qui. Sono certa di aver visto chiaramente quella signora entrare qui dentro», incalzò lei con una sottile disperazione.

«Mi sconforta sapere della vostra disavventura, ma come vi ho detto, non è entrata nessuna donna».

«Conosco anche il suo nome. Si fa chiamare signora Hill. Ne avete mai sentito parlare?»

«Mi dispiace doverla deluderla ancora, ma non ho mai sentito questo nome in vita mia».

Sara provò una sensazione di sconforto come se i cocci di un vaso rotto non potessero ma essere più ricomposti. 

L’uomo la guardò con estrema preoccupazione e aggiunse: «Vi ha fatto qualcosa di male?»

«

Beh, non proprio, ma ho un estremo bisogno di parlarle».

«Posso fare qualcosa per aiutarla? Magari facendo chiamare qualcuno?»

«Sono qui con mia cugina», disse Sara ben sapendo che quella era una piccola bugia detta a fin di bene. «Non c’è ne bisogno. Grazie comunque». 

Sara se ne andò affranta, nel silenzio più assoluto.   

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